Le eruzioni del Vesuvio
Le eruzioni del Vesuvio avvenute negli anni 1631, 1660, 1676, 1872, 1906 interessarono da vicino anche la vita del Santuario.
Alle prime luci dell’alba del 15 dicembre 1631 il Vesuvio apparve sormontato da una grande colonna di fumo. Fu un’eruzione esplosiva sub pliniana con caduta di frammenti piroclastici che colpirono Barra, San Sebastiano, Leucopetra, Portici, Resina, Torre del Greco. Colate di fango colpirono San Paolo Belsito, Pomigliano, Mariglianella. L’eruzione cominciò con l’apertura di una frattura nel fianco sudoccidentale del vulcano e la formazione di una colonna eruttiva alta circa 15 chilometri da cui ricaddero pomici ricche di leucite e mica, con abbondanti litici calcarei. Furono emessi 500 milioni di metri cubi di materiale juvenile che distrusse case ed aree coltivate, sconvolgendo interamente il paesaggio e provocando più di 6000 vittime.
Circa 3000 persone furono accolte ed amorevolmente assistite dai frati domenicani all’interno del Santuario e del Convento. Nonostante i terremoti, la caduta di piogge torrenziali, le ceneri e i lapilli che infransero tutti i vetri del Santuario, il finestrone centrale dove vi è dipinta l’immagine della Madonna rimase indenne. La lava deviò il suo percorso salvando sia la città di Sant’Anastasia che le campagne circostanti, mentre i vicini paesi si videro molto danneggiati. Il popolo attribuì l’avvenimento alla protezione della Madonna dell’Arco e a perenne ricordo fu collocata nella parte posteriore dell’immagine una lapide in marmo nero con inciso a lettere color oro il seguente testo:
“L’anno 1450, essendo stata scagliata una palla contro l’Immagine della Vergine Madre di Dio, sul volto di quella apparve una lividura. L’empio in modo meraviglioso intirizzì, e tosto sospeso ad un albero disgraziato, pagò la pena. Dopo novant’anni essendo stato rinnovato un delitto contro la stessa Immagine, si rinnovò anche il castigo contro la donna che bestemmiava ed esacrava, alla quale, super naturalmente staccati, caddero i piedi dalle gambe. Di poi, essendo stati veduti miracoli salutari, l’anno trentesimo primo del secolo decimosesto, in quell’ultima funesta conflagrazione del vicino Vesuvio, lungi dal tempio ripieno di uomini e dal campo ripieno d’animali, si mantennero le fiamme voraci, e per altrove si diresse l’impetuoso torrente di fiamme, i Frati Domenicani alla benefica Madre posero, l’anno della salute 1632 l’8 settembre. Per tutti i popoli infine qui da ogni luogo accorrenti, l’altare già eretto alla sacra immagine sfolgorante per miracoli, che fosse consacrato dall’Ill.mo e Rev.mo Signore Don Francesco Carafa Vescovo Nolano, in perenne monumento di devozione e di gratitudine, gli stessi Frati curarono l’anno 1721, il dì 11 maggio”.
Oggi quella lapide nella parte bassa si vede molto consumata, perché i fedeli sono soliti strofinarvi un fazzoletto, appoggiarvi la fronte o strofinarvi le mani. È un modo questo molto comune tra i fedeli per invocare e chiedere l’aiuto della Madonna, poiché è questa la parte del muro più vicina all’immagine che i fedeli oggi possono toccare.
Durante l’eruzione mista del 2 luglio 1660, con attività esplosiva ed effusiva e l’emissione di cenere nera, molti si rifugiarono presso il Santuario e il Convento, sostenuti e assistiti dai frati domenicani. Finito il flagello dell’eruzione, il Viceré si recò al Santuario e per devozione volle una copia della prodigiosa immagine della Vergine.
Verso la fine del 1676, il Vesuvio ebbe una nuova fase eruttiva, che riempì di spavento i cuori e gli animi degli abitanti delle terre circostanti. I frati domenicani si premurarono di andare missionari in tutti i paesi circostanti interessati dall’evento per portare a tutti la benedizione di Maria. Essi furono forniti di ampie facoltà da parte del Vescovo di Nola, monsignor Filippo Cesarini, e dal cardinale Innico Caracciolo, arcivescovo di Napoli, per poter predicare, confessare e assolvere i fedeli.
Riportiamo di seguito la testimonianza del padre Antonio Giuseppe Morisani, rettore del Santuario fino al 1919, riguardo alle due eruzioni del Vesuvio del 1872 e del 1906:
“Ma noi che scriviamo, perché fummo testimoni oculari non possiamo lasciare senza un accenno speciale i benefici segnalati che la Madonna dell’Arco largì a quanti ricorsero a Lei nelle due terribili eruzioni Vesuviane dei tempi nostri…
Quando il vulcano si destò furibondo nel 1872 corsero tutti a trovare scampo nel Santuario. Alla Madonna dell’Arco innalzarono voti e preghiere le turbe spaventate di questa e delle vicine contrade. L’ignea lava corse tra i due paeselli di Massa e San Sebastiano, devastando le case dei due confini, e le adiacenti campagne. Il territorio dove sorge il Santuario fu rispettato, la casa della Madonna non fu toccata, non soffrirono danno alcuno quelli che qui ripararono.
Più terribile fu la eruzione avvenuta trentaquattro anni dopo, cioè nell’aprile del 1906. Era suonata da due ore la mezzanotte del sabato, che precede la Domenica delle Palme, caduta in quell’anno all’8 aprile, quando si sentì un terribile rombo, e la terra si scosse come per subito terremoto. Balzarono tutti dal letto e corsero sulla via gli spaventati cittadini, e crebbe la desolazione e lo spavento allo spettacolo che si parò loro innanzi.
Il cielo era diventato di fuoco, correvano per l’aria stridendo le saette, piovevano il lapillo infuocato e la cenere rovente, tratto tratto si sentiva la caduta dei sassi ferrei ed infuocati, pareva venuto per tutti l’ultima ora. La turba spaventata dei cittadini si affrettò correndo alla casa della Madonna dell’Arco: la storia diventata popolare ispirava fiducia: quelli la ricordarono. Aprite! Aprite! – gridavano – qui non si muore, qui è sicura la nostra salvezza!
Fu forza ubbidire: si spalancarono le porte del Santuario e migliaia di cittadini si strinsero intorno alla cappella della Vergine, come timidi fanciulli, nell’ora del pericolo, si stringono intorno alla madre.
La tempesta vesuviana durò più giorni, ed ai narrati fenomeni si aggiunsero le tenebre fitte, si aggiunsero sprigionamenti di gassi asfissianti, mortiferi. Ed anche in questa occasione fu chiaro, fu pieno il patrocinio della Vergine nostra dell’Arco. Lontano qualche chilometro a diritta ed a sinistra del Santuario la rovina, questa striscia di terra, dove si erge la casa della Madonna, rimase incolume. Ad oriente tre paesi fracassati: Somma, Ottaiano, San Giuseppe; ad occidente tre paesi coperti da lave di fango: San Sebastiano, Pollena, Trocchia; qui nulla. Salvo un poco di cenere nessuna ruina, persino le adiacenti campagne conservarono in parte il loro verde. Nel tenebrìo fittissimo, che avvolse ogni cosa d’intorno nel Lunedì in Albis, giorno della festa della Vergine, si notò un cerchio di luce sulla cupola del Santuario, e si pianse di meraviglia e di gioia”.